Cosa succederà dopo il coronavirus
1 Ottobre 2020/ Ipotesi di un mondo nuovo /
Di fronte alla portata e potenza della pandemia che sta investendo il nostro mondo, i modelli che abbiamo a disposizione per prevederne gli effetti a lungo termine sono inadeguati, e questa esperienza è così un’opportunità per svilupparne di nuovi e più efficaci.
Spesso i cambiamenti più profondi risultano solo da contingenze drammatiche che costringono le persone a riesaminare radicalmente il loro modello di vita, e in questo caso potremmo beneficiare della grave situazione per elaborare soluzioni rivoluzionarie a beneficio di tutti.
Le ripercussioni economiche saranno notevoli e penose per molti (anche se sicuramente ci saranno alcuni che trarranno grande profitto nell’approfittare della crisi), e questa potrebbe essere la molla per far crollare certi sistemi che ormai hanno dimostrato la loro fallibilità e sostituirli con altri più sostenibili ed umani. Molte sono le ipotesi di cui ho sentito parlare in questi giorni, più avanti ne vedremo una promettente.
Anche nella migliore delle ipotesi questa crisi durerà mesi e prevedibilmente investirà tutte le parti del pianeta. È legittimo immaginare che la catena di distribuzione delle merci subirà grosse conseguenze negative e, in particolare per il settore alimentare, certi alimenti scarseggeranno, ci sarà intermittenza di forniture se non addirittura interruzione di scambi tra vari paesi. Questo porterà inevitabilmente ad un aumento dei prezzi al dettaglio, proprio in un momento nel quale molti si troveranno in difficoltà finanziarie. Non mancheranno sicuramente gli episodi di sciacallaggio, sia da parte di singoli che a livello di industrie.
Sarebbe quindi il caso di cominciare a pensare seriamente fin d’ora (cosa che si sarebbe già dovuta fare da tempo) al potenziamento delle filiere corte, della produzione locale, delle coltivazioni biologiche, dell’economia circolare, delle varie opzioni per rendersi più autonomi in modo più sano e sostenibile. Sarebbe un’opportunità di cambiamento che, indotta dalla necessità ineluttabile, potrebbe funzionare, evitare problemi più grandi e fornire modelli migliori da consolidare nel futuro.
Un elemento che per ora sembra largamente ignorato è quello delle conseguenze sulla psiche di massa. Siamo per molti versi una razza indebolita, specialmente nei paesi ricchi, e la situazione attuale avrà conseguenze rilevanti su ansietà, depressione e instabilità di molte persone. Questo è un fatto che non va sottovalutato e per il quale occorre prepararsi. Il peso che i social media hanno sulla vita delle popolazioni contemporanee è stato oggetto di innumerevoli studi, ma un caso come questo, altamente democratico nella sua distribuzione universale, dovrebbe rendere evidenti certi cambiamenti che sono essenziali se vogliamo evitare di cadere in una trappola di involuzione antropologica estremamente pericolosa.
Io appartengo a quella generazione che lavorò agli sviluppi iniziali di internet agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, e devo riconoscere, come molti che furono parte di quella rivoluzione, l’abissale ingenuità che ci travolse, nell’attenderci che lo sviluppo di Internet avrebbe inevitabilmente contribuito a creare una società migliore, a dare accesso alla conoscenza, a creare una maggior capacità critica nelle popolazioni, a livellare le differenze sociali e culturali. Quello che è accaduto è esattamente l’opposto, ed è difficile oggi immaginare come riprendere controllo di una situazione che è totalmente sfuggita di mano.
Jaron Lanier, tra i padri della realtà virtuale e uno dei pionieri di internet, analizza più lucidamente di altri questa casistica e nei suoi libri, in particolare “Who Owns The Future” del 2013, propone delle alternative ardite ma sensate sul come invertire la rotta, recuperare i potentissimi e positivi elementi della tecnologia arginandone gli effetti deleteri e farne lo strumento di sviluppo socio-economico che intendeva essere agli albori della sua storia. In particolare, Lanier ipotizza un modello di uso dei social media che contempli la retribuzione di chi pubblica sulle varie piattaforme, diventando così partecipe dei profitti dei giganti del web come Amazon, Google e Facebook, che vivono dei contributi, finora gratuiti, degli utilizzatori, e allo stesso tempo utilizzando tipologie sul modello del block-chain per limitare la proliferazione di fake news, informazione infondata e diffusione di odio, esercitando un controllo che non diventi censura. Sono teorie che meritano un’analisi approfondita.
Oscar Giacomin / General Manager, Facto Edizioni
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