Il vaccino Pfizer è efficace al 95%. Ecco il suo funzionamento
6 Dicembre 2020Il vaccino sviluppato dall’azienda statunitense Pfizer insieme alla tedesca BioNTech è efficace al 95%, anche tra le persone che, per età o comorbidità, corrono maggiori rischi di ammalarsi di Covid-19 in forma severa.
I dati sulla sperimentazione di fase 3 sono stati pubblicati il 10 dicembre sull’autorevole rivista ‘New England Journal of Medicine’ che in un editoriale ha definito i risultati un vero “trionfo”, pur ricordando l’importanza di un monitoraggio che continui per un lungo periodo. Lo studio randomizzato e controllato ha coinvolto 43.548 persone di età superiore ai 16 anni. 21.720 hanno ricevuto il vaccino e 21.728 il placebo. I casi accertati di contagio da SARS-CoV-2 tra coloro che avevano ricevuto le due dosi di vaccino previste dal trattamento sono stati 8, a fronte di 162 nel gruppo a cui era stato somministrato il placebo. Tra i dieci partecipanti alla sperimentazione che si sono ammalati di Covid-19 in forma grave uno solo aveva ricevuto il trattamento.
Il vaccino, spiegano gli autori dell’articolo, ha dimostrato di avere un’efficacia simile (generalmente dal 90 al 100%) nei sottogruppi definiti per età, sesso, razza, etnia, indice di massa corporea e presenza di malattie preesistenti. Sotto il profilo della sicurezza gli effetti collaterali osservati sono stati lievi: dolore, da lieve a moderato, nel punto dell’iniezione, affaticamento, brividi, febbre e mal di testa. L’incidenza di eventi avversi gravi è stata bassa ed è risultata simile nei gruppi che hanno ricevuto il vaccino e in quelli a cui era stato dato il placebo. Un’accortezza particolare è però necessaria per chi ha “una significativa storia clinica” di allergie e l’autorità britannica di controllo sui farmaci (Mhra) ha consigliato a questa categoria di persone di non sottoporsi alla vaccinazione, almeno fino a quando non sarà chiarito cosa abbia causato le reazioni allergiche sviluppate da due operatori sanitari inglesi che avevano ricevuto il vaccino.
La pubblicazione dei dati era molto attesa perché occorreva dare robustezza agli annunci della aziende produttrici, permettendo alla comunità scientifica di esaminare le informazioni. E i risultati della sperimentazione infondono ottimismo anche in Italia, in vista dell’arrivo del primo vaccino che ha già ricevuto il via libera dalle autorità regolatorie di Regno Unito, Canada e Stati Uniti e sul quale dovrebbe esprimersi favorevolmente anche l’Ema, l’agenzia europea per i medicinali, la cui decisione, inizialmente prevista per il 29 dicembre, è stata anticipata di 8 giorni ed è adesso fissata per il 21 dicembre. Poter disporre di un vaccino che in 95 casi su 100 impedisce al virus SARS-CoV-2 di provocare sintomi è certamente un punto di svolta, soprattutto davanti a una malattia caratterizzata da un decorso clinico a volte imprevedibile che può arrivare a porre sotto attacco diversi organi umani. E, ricorda l’editoriale del ‘New England Journal of Medicine’ firmato dall’immunologo Eric Rubin e dall’onco-ematologo Dan Longo, il percorso dal concepimento all’implementazione su larga scala potrebbe completarsi nell’arco di meno di un anno.
Gli esperti ricordano comunque che restano ancora dei punti da chiarire: sarà necessario capire in che misura le persone vaccinate possono eventualmente infettarsi e restare asintomatiche e sarà fondamentale anche monitorare gli eventuali effetti collaterali su un periodo di tempo più lungo. Inoltre non bisogna dimenticare gli aspetti logistici collegati al fatto che il vaccino Pfizer/BioNTech deve essere conservato a una temperatura di -70°C. Un fattore, sottolinea l’editoriale del ‘New England Journal of Medicine’ che “potrebbe limitarne la diffusione in alcune aree”. Tuttavia, precisano gli autori, “il notevole livello di sicurezza ed efficacia che il vaccino ha dimostrato fino ad ora, fanno di questo un problema che dovremmo accogliere con favore”.
E il vaccino che è arrivato per primo è anche quello sviluppato con la tecnologia più innovativa, quella a RNA messaggero (mRNA) che codifica la proteina chiave di SARS-CoV-2, l’ormai nota Spike, il grimaldello con cui il virus riesce ad aprire i recettori Ace 2, ampiamente presenti nelle vie respiratorie e nei tessuti, e ad entrare così nelle cellule per iniziare la replicazione. Si tratta dello stesso meccanismo che è alla base del vaccino sviluppato da Moderna e al quale la Food and Drug Administration statunitense dovrebbe dare il via libera proprio in queste ore. L’idea è quella di stimolare il nostro organismo a produrre una risposta immunitaria proprio attraverso la proteina Spike, che senza la parte restante del virus è innocua: in questo modo se in futuro la persona vaccinata dovesse incontrare SARS-CoV-2 avrebbe già in dotazione gli anticorpi necessari a riconoscere la Spike e a eliminare il patogeno.
Grazie all’RNA messaggero il nostro organismo sarà quindi in grado di costruire un efficace meccanismo di difesa senza aver mai visto il virus. E per quanto riguarda gli effetti collaterali che possono far seguito alla somministrazione del vaccino “i più comuni sono il dolore e l’arrossamento nel sito dell’inoculo, dove viene fatta l’iniezione. Inoltre circa il 16% dei pazienti al di sotto dei 55 anni sviluppa febbre, ma questo rialzo della temperatura scompare nel giro di un paio di giorni. In generale gli effetti collaterali che possono fare seguito alla prima dose sono più leggeri perché il sistema immunitario non è ancora molto attivo. Quando eseguiamo il richiamo, che serve ad attivare bene il sistema immunitario, emergono più frequentemente quei sintomi che tipicamente sviluppiamo quando abbiamo un’infezione, come la febbre o il senso di stanchezza.
Non è ancora noto quale sia stata la componente che ha provocato la reazione allergica e quindi per sicurezza l’autorità britannica ha raccomandato di non vaccinare più le persone che hanno un episodio storico di anafilassi sistemica e che di solito sono allergiche ai farmaci. Anche negli Stati Uniti, dopo l’avvio della campagna di vaccinazione, è stata registrata una grave reazione allergica. È accaduto in Alaska a un’operatrice sanitaria che, secondo quanto riportano i media statunitensi, non aveva mai avuto problemi simili in passato. La donna, che ha trascorso una notte in terapia intensiva e adesso è in buone condizioni, non riceverà la seconda dose del trattamento. Sulla persistenza della protezione non è invece ancora possibile avere delle risposte e un altro interrogativo ancora aperto riguarda la capacità del vaccino di proteggere anche dalla trasmissione del virus. Sulla questione il ‘Wall Street Journal’ riporta che il vaccino di Moderna, basato sulla stessa tecnologia a RNA messaggero, sembra capace di bloccare anche le infezioni asintomatiche.
Oscar Giacomin / General Manager, Facto Edizioni
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