Lavoro e Intelligenza Artificiale

Lavoro e Intelligenza Artificiale

4 Giugno 2020 Off Di Oscar Giacomin

Quando si parla di Intelligenza Artificiale non si può non toccare aspetti etici e sociali come quelli legati al lavoro e all’occupazione dato che i timori nella comunità globale crescono.

Timori giustificati se si pensa che la metà delle attività lavorative di oggi potrebbe essere automatizzata entro il 2055. Qualsiasi tipo di lavoro è soggetto a una automazione parziale ed è partendo da questa considerazione che nel report ‘A Future That Works: Automation, Employment And Productivity’, realizzato dal McKinsey Global Institute-MGI (un report di 148 pagine, disponibile sul sito del World Economic Forum di Davos, dove è stato ufficialmente presentato nello scorso gennaio), si stima che circa la metà dell’attuale forza lavoro possa essere impattata dall’automazione grazie alle tecnologie già note e in uso oggi.

In realtà, a mettere un freno ai timori che da mesi spopolano via web e social sulla responsabilità dell’Intelligenza Artificiale nel ‘distruggere’ posti di lavoro, arrivano diversi studi. Di seguito segnaliamo quelli più significativi: 

secondo lo studio di Capgemini intitolato ‘Turning AI into Concrete Value: The Successful Implementers’ Toolkit’ l’83% delle imprese intervistate conferma la creazione di nuove posizioni all’interno dell’azienda. Inoltre, i tre quarti delle società intervistate hanno registrato un aumento delle vendite del 10% proprio in seguito all’implementazione dell’Intelligenza Artificiale; 

un recente report di The Boston Consulting Group e MIT Sloan Management Review dimostra che la riduzione della forza lavoro è temuta solo da meno della metà dei manager (47%), convinti invece delle potenzialità (l’85% degli interpellati pensa che permetterà alle aziende di guadagnare e mantenere un vantaggio competitivo); 

una nuova ricerca di Accenture (‘Reworking the Revolution: Are You Ready to Compete As Intelligent Technology Meets Human Ingenuity to Create The Future Workforce’) uscita in occasione del recente Forum dell’Economia di Davos stima che i ricavi delle imprese potrebbero crescere del 38% entro il 2022, a patto che investano sull’Intelligenza Artificiale e su un’efficace cooperazione uomo-macchina.

Uno dei temi ampiamente dibattuti sia nella comunità scientifica sia tra gli esperti di filosofia, sociologia, politica ed economia riguarda le capacità di pensiero dei robot o, più in generale, i confini tra Intelligenza Artificiale e coscienza ‘umana’. Anche se le tecnologie di Intelligenza Artificiale stanno progredendo a passo spedito, per molti versi i computer sono ancora al di sotto delle prestazioni umane.

“Una coscienza umana non è fatta dal solo riconoscimento di modelli o dalla rapida elaborazione di numeri” sostiene Hakwan Lau, un neuroscienziato dell’Università di California, Los Angeles. Capire come colmare il divario tra l’intelligenza umana e quella artificiale sarebbe come trovare il Santo Graal.

Per affrontare la controversa questione se i computer possano o meno sviluppare una coscienza, alcuni ricercatori dell’Università della California hanno cercato – in prima analisi – di esplorare come sorge la coscienza nel cervello umano. Così facendo, hanno delineato tre livelli chiave della coscienza umana che potrebbero servire come roadmap per progettare un’Intelligenza Artificiale veramente consapevole.

Gli scienziati hanno notato che alcuni robot hanno raggiunto capacità pari ad un livello C2 degli uomini (livello che si riferisce alla capacità di monitorare i propri pensieri e calcoli;  in altre parole la capacità di essere auto-consapevoli), in quanto possono monitorare i loro progressi nell’apprendimento di come risolvere i problemi. Ad oggi, i ricercatori suggeriscono che la coscienza umana può derivare da un insieme di computazioni specifiche. “Una volta che saremo in grado di chiarire in termini computazionali quali possono essere le differenze negli esseri umani tra conscio e inconscio, codificarlo nei computer non può essere così difficile” è l’opinione del ricercatore Lau che apre indubbiamente nuovi scenari sul futuro dei robot coscienti. 

Moltissime ricerche sono rivolte anche all’essere umano per aumentare le capacità mnemoniche mediante Chip Neuromorfici e Phase Change Memory, ossia circuiti che imitano il funzionamento delle connessioni neurali di un cervello umano. Su questo fronte la ricerca sta avanzando abbastanza rapidamente; una recentissima pubblicazione scientifica apparsa su ‘Nature Nanotechnology’ spiega come alcuni scienziati dei laboratori di ricerca IBM a Zurigo siano riusciti a realizzare in laboratorio dei neuroni artificiali con materiali ‘phase change’ (a cambiamento di fase).

I ricercatori hanno utilizzato il ‘germanio tellururo di antimonio’ (ndr. di derivazione dalla lega GeSbTe, germanio, antimonio e tellurio, materiale a transizione di fase usato nei dischi ottici riscrivibili), materiale che mostra due stati stabili (uno cosiddetto amorfo, senza una struttura definita, ed uno cristallino, dotato quindi di struttura) che non serve per salvare informazioni ma per abilitare sinapsi, come avviene tra i neuroni biologici. Mediante una serie di impulsi elettrici, questi neuroni artificiali mostrano una progressiva cristallizzazione del materiale, ma ciò che risulta davvero innovativo è il cambiamento di carica elettrica tra l’interno e l’esterno del chip (questo cambiamento, chiamato ‘proprietà integrate-and-fire’, nel cervello umano accade per esempio quando si tocca qualcosa di caldo e costituisce la base del calcolo basato su eventi).

Partendo da queste scoperte, gli scienziati stanno lavorando alla strutturazione di ‘popolazioni di centinaia di neuroni artificiali’ utilizzandole per gestire segnali complessi e veloci. Questi neuroni artificiali stanno mostrando di poter sostenere miliardi di cicli di trasformazione con un consumo energetico molto basso: l’energia richiesta per l’aggiornamento di ciascun neurone, cioè per il suo cambiamento di fase, è meno di 5 picojoule, con un consumo medio minore di 120 microwatt; per avere un termine di paragone, 60 milioni di microwatt rappresentano la potenza di una lampadina di 60 watt.

I chip neuromorfici vanno nella direzione di uno sviluppo hardware che consente di fare elaborazione in modo diverso rispetto all’approccio attuale tenendo dati e capacità di elaborazione nello stesso componente esattamente come fa il cervello umano che li tiene nei neuroni e nelle loro sinapsi.

Oscar Giacomin  / General Manager, Facto Edizioni

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