Predicare bene e razzolare male
6 Luglio 2023Un risveglio di coscienze sta portando in questi anni a una maggiore sensibilità generale verso questioni ambientali e sociali, come tutela del territorio, diritti e diseguaglianze civili, eccetera. Il fenomeno non poteva non coinvolgere anche il marketing, tant’è che, come abbiamo avuto modo di raccontare il mese scorso in questa rubrica parlando di ‘brand activism’, crescono le aziende che pubblicamente prendono posizione con le loro campagne contro ingiustizie o a sostegno di certe tematiche.
Ma quando un brand si espone per una certa causa giusta, lo fa sempre onestamente, mosso da una reale convinzione o invece succede anche che agisca per opportunismo, ‘sfruttando’ il tema solo per alzare i profitti?
Quando la situazione che si verifica è la seconda si parla di ‘woke washing’ o ‘brand washing’, espressione con un’accezione negativa il cui senso in italiano equivale a quello del proverbio ‘predicare bene e razzolare male’ e che si può definire come l’uso di temi di alto impatto sociale per pure strategie di marketing, ovvero con il solo intento di far leva sulla sensibilità e i valori del pubblico, raggiungere più clienti (reali o potenziali) e trarre quindi maggior profitto. Per esempio, se un’azienda promuove una dieta sana e vegana, ma poi è partner di allevamenti intensivi di animali sta facendo woke washing.
Sottocategorie, per così dire, del woke washing, sono per esempio il ‘greenwashing’, il ‘pinkwashing’ e il ‘rainbow washing’, a seconda che le questioni sfruttate dal brand a fini di profitto siano ambientali, legate al genere o alla comunità LGBTQIA+.
Nel Regno Unito, la banca HSBC ha subito l’anno scorso il ritiro di una campagna pubblicitaria dopo che l’autorità di controllo della pubblicità nel Paese ha stabilito che pubblicizzava un programma di piantumazione di alberi e il suo piano net-zero senza però riconoscere che allo stesso tempo è uno dei maggiori finanziatori al mondo di progetti di combustibili fossili.
Il woke washing ha talvolta coinvolto anche i brand dell’automotive. Mercedes-Benz e BMW, per esempio, hanno condotto campagne in cui, per mostrare solidarietà verso la comunità LGBTQIA+ hanno vestito il loro logo con i colori dell’arcobaleno. Peccato però che si siano ben guardate dal farlo nelle nazioni in cui non c’è tolleranza verso le persone Lgbtqia+ tipo l’Arabia Saudita e la Russia.
Altro esempio famoso di brand washing è l’Oréal che alcuni anni fa ha deciso di eliminare dalle etichette dei suoi prodotti termini come ‘sbiancante’ o ‘schiarente’ in segno di vicinanza alla Black community. Un’operazione però di pura facciata dal momento che poco tempo prima la casa francese aveva interrotto delle collaborazioni con alcuni testimonial proprio perché questi si erano dichiarati sostenitori del movimento Black Lives Matter.
Cavalcare il tema del momento solo per stare al passo con i tempi, farsi sentire, vedere, creare un’immagine di facciata che nasconda ‘lati oscuri’ e lucrare è una strategia piena di rischi per un brand. Oltre che moralmente sbagliata, può risultare controproducente e dannosa per la reputazione e credibilità del brand. Non va infatti dimenticato che il sistema aziendale è oggi molto più aperto di un tempo e complice anche l’attenzione dei media sempre all’erta, bugie e segreti hanno le gambe corte. E quando vengono fuori, hanno costi e conseguenze importanti.
Tra brand activism e woke washing la linea può essere sottile. Per evitare che il proprio attivismo sincero venga percepito come opportunistico e diventi allora un boomerang che si ritorce contro l’azienda, si dovrebbero mettere in pratica alcune accortezze:
- Comunicare e sostenere solo ciò in cui si crede veramente e che è coerente con la storia, i valori, la mission del brand;
- Affiancare alle parole i fatti: molte denunce di woke washing nascono infatti proprio dall’incongruenza tra ciò che il brand dichiara e le sue azioni;
- Valutare bene i rischi reputazionali del proprio attivismo: se si supporta un certo tema (qualsiasi sia) va tenuto presente che si rischia sempre di scontentare, o magari perdere, una parte dei propri clienti che potrebbero pensarla diversamente. Occorre quindi essere preparati e disposti ad accettare quest’eventualità;
- Investire sul crisis management, per avere una strategia con cui gestire problematiche come quelle indicate al punto 3.